sabato 29 ottobre 2011

Cooperazione fiscale e scambio di informazioni in UE

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La collaborazione internazionale in tema fiscale rappresenta per gli Stati un'opportunità di recupero della ricchezza prodotta dai propri cittadini che altrimenti rischierebbe di andare perduta non potendo la pretesa impositiva dello Stato valicare i confini territoriali nazionali1. Il tema in esame si caratterizza per essere una priorità nell'agenda politica di ogni governo, soprattutto negli ultimi decenni in cui la globalizzazione ha messo in crisi l'evidenza del legame tra reddito e territorio e la tecnologia ha semplificato le attività di movimentazione delle ricchezze e di occultazione delle stesse nei casi patologici. La direttiva 2011/16/UE, sottoscritta a Bruxelles il 15 Febbraio 2011, è il più recente testo normativo adottato in ambito comunitario rispetto al tema della cooperazione amministrativa nel settore fiscale. Nel primo dei considerando che precedono gli articoli della direttiva si legge: “Nell'era della globalizzazione la necessità per gli Stati membri di prestarsi assistenza reciproca nel settore della fiscalità si fa sempre più presente. La mobilità dei contribuenti, il numero di operazioni transfrontaliere e l'internazionalizzazione degli strumenti finanziari conoscono un'evoluzione considerevole, che rende difficile per gli Stati membri accertare correttamente l'entità delle imposte dovute. Questa difficoltà crescente si ripercuote negativamente sul funzionamento dei sistemi fiscali e dà luogo alla doppia tassazione, la quale di per sé induce alla frode e all'evasione fiscale, mentre i poteri di controllo restano a livello nazionale. Ne risulta pertanto minacciato il funzionamento del mercato interno”. Alla luce delle precedenti considerazioni sorprende ancora di più constatare l'assenza di specifiche norme in materia di cooperazione fiscale nei Trattati istitutivi dell'attuale Unione Europea2. “La lacuna in realtà è spiegabile con la volontà, perlomeno nella fase costituente, di non impedire la creazione ed il funzionamento di un mercato comune, quale area economica caratterizzata dal principio della libera concorrenza e con il carattere meramente strumentale dell'assistenza tributaria che ha senso in quanto vincolata ad un fine od obiettivo concreto contenuto esplicitamente nel Trattato, come potrebbe essere l'eliminazione della doppia imposizione fiscale all'interno della Comunità (art. 293 Trattato) oppure assunto dalla Comunità in virtù dell'art. 308 o relativo alle risorse proprie o incluso nell'ambito delle competenze esterne della Comunità, nella cooperazione doganale”3.
Ma la collaborazione fiscale tra gli Stati non riguarda solo la fase dell'accertamento, bensì anche la fase della riscossione del credito tributario. Anche su questo versante l'Unione Europea si è dotata negli ultimi anni di una legislazione quadro molto evoluta, segnatamente la direttiva 2010/24/UE, che entro il 31 Dicembre 2011 dovrebbe essere recepita da tutti gli Stati membri con conseguenze sugli ordinamenti nazionali molto interessanti (una su tutte la possibilità di notifica del titolo di credito da riscuotere direttamente al contribuente non residente).
Le prime attenzioni nei confronti del tema della collaborazione fiscale risalgono comunque alla seconda metà degli anni settanta con l'approvazione, avvenuta in data 10 Febbraio 1975 da parte del Consiglio, della Risoluzione “relativa alle misure che la Comunità dovrà adottare per combattere la frode e l'evasione fiscale sul piano internazionale”4. Il testo pone in rilievo aspetti importanti della cooperazione internazionale che poi saranno alla base della successiva legislazione comunitaria in materia: la necessità di un reciproco scambio di informazioni da attuarsi in molteplici forme e situazioni; lo svolgimento di indagini amministrative per un corretto accertamento delle imposte da effettuarsi in uno Stato membro per conto e nell'interesse di un altro Stato membro; la presenza di funzionari dell'amministrazione fiscale di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro.
Dalla risoluzione del 10 Febbraio 1975 in avanti cresce la consapevolezza delle istituzioni europee della necessità di una normativa derivata che possa imprimere inedito slancio alla lotta contro la frode e l'evasione fiscale nell'Unione europea.

lunedì 17 ottobre 2011

Scambi intracomunitari e sistema VIES


Il Titolo II, Capo II del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, numero 427 reca la disciplina dell'imposta sul valore aggiunto  rispetto agli scambi di beni e servizi che avvengono tra operatori residenti in diversi Stati Membri dell'UE. La normativa europea confluita nel decreto legge citato poc'anzi prevede il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto nel paese di destinazione attraverso il sistema del reverse-charge ovvero dell'inversione contabile che si sostanzia come segue: i) chi emette la fattura non addebita l'Iva; ii) chi riceve la fattura integra la fattura aggiungendoci di suo pugno l'Iva calcolata con l'aliquota nazionale e la registra in entrambi i registri Iva cosicché l'imposta si annulla. Fino a pochi mesi fa tutti i contribuenti italiani potevano liberamente beneficiare di questo meccanismo di applicazione dell'Iva. Dalla seconda metà del 2010 invece la possibilità di assolvere l'Iva con il reverse-charge è subordinata alla previa inclusione nel VIES VAT Information Exchange System, un sistema di scambi automatici di informazioni tra le autorità fiscali dell'Unione Europea che ha lo scopo di monitorare i soggetti passivi che pongono in essere operazioni intracomunitarie.

venerdì 7 ottobre 2011

Il medico fattura con Iva o forse no!

L'assoggettamento ad Iva delle prestazioni sanitarie trova il suo fondamento giuridico autentico nell'articolo 13 della sesta direttiva 77/388/CEE che statuisce: «Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste in appresso e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso: […] le prestazioni mediche effettuate nell'esercizio delle professioni mediche e paramediche quali sono definite dagli Stati membri interessati». Un testo sostanzialmente simile si legge anche nella cosiddetta direttiva di rifusione 2006/112/CE.
Il legislatore italiano ha recepito le indicazioni dell'UE con il conosciutissimo articolo 10, comma 1, n. 18 del d.p.r. 633/1972 che recita «Sono esenti dall'imposta: […] le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell'esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza, ai sensi dell'articolo 99 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, ovvero individuate con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro delle finanze».
Dalla norma si evince che la prestazione sanitaria può essere esente dall'applicazione dell'imposta quando sono soddisfatti allo stesso tempo:
  1. il requisito soggettivo (la prestazione deve essere effettuata da chi esercita una professione ben definita dalla legge e soggetta a vigilanza);
  2. il requisito oggettivo (la prestazione resa deve tendere alla diagnosi, alla cura o alla riabilitazione).