Per gli aspetti fiscali dell'associazione in partecipazione leggi anche Associazione in partecipazione: profili fiscali e previdenziali.
Il
18 Luglio 2012 ha acquistato vigore la L. 92/2012 cosiddetta riforma
Fornero. In particolare, i commi 29 e 30 dell'art. 1 hanno inciso
profondamente sulla disciplina dell'associazione in partecipazione al
fine di prevenire il ricorso abusivo e distorto a questo tipo di
contratto per dissimulare rapporti di lavoro subordinato. Il nuovo
testo dell'articolo 2549 c.c. ora suona così: «Con il contratto di
associazione in partecipazione l'associante attribuisce all'associato
una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più
affari verso il corrispettivo di un determinato apporto.
Qualora l'apporto dell'associato consista anche in una prestazione di lavoro, il numero degli associati impegnati in una medesima attività non può essere superiore a tre, indipendentemente dal numero degli associanti, con l'unica eccezione nel caso in cui gli associati siano legati all'associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo. In caso di violazione del divieto di cui al presente comma, il rapporto con tutti gli associati il cui apporto consiste anche in una prestazione di lavoro si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato».
Qualora l'apporto dell'associato consista anche in una prestazione di lavoro, il numero degli associati impegnati in una medesima attività non può essere superiore a tre, indipendentemente dal numero degli associanti, con l'unica eccezione nel caso in cui gli associati siano legati all'associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo. In caso di violazione del divieto di cui al presente comma, il rapporto con tutti gli associati il cui apporto consiste anche in una prestazione di lavoro si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato».
Massimo
tre associati
Dunque
gli associati in partecipazione possono essere al massimo 3 a
prescindere da quanti siano gli associanti. Il riferimento è agli
associati in partecipazione con apporto di lavoro oppure capitale e
lavoro, quindi la restrizione della nuova legge non si applica ai
casi di apporto di solo capitale. Non si applica nemmeno nel caso in
cui associante e associato siano legati da rapporto coniugale, di
parentela entro il terzo grado (genitori-figli, nonni-nipoti,
zii-nipoti e fratelli) e di affinità entro il secondo
(suoceri-generi/nuore e cognati). L'inottemperanza fa scattare la
presunzione assoluta, senza cioè possibilità di smentita, di lavoro
subordinato a tempo indeterminato.
Mi
sembra interessante sottolineare due aspetti che intendo valutare con
azzardo. In primo luogo, il numero degli associati in partecipazione
può essere maggiore di tre se nel computo si fanno rientrare anche i
familiari esclusi espressamente dalla norma.
In
secondo luogo, il testo della legge si riferisce al «numero
degli associati impegnati in una medesima attività» e tale
espressione può far ritenere superabile il limite di tre lavoratori
associati qualora ad essi siano affidati affari o attività diverse.
Il primo comma dell'articolo 2549 c.c. che rappresenta la base di
partenza del nuovo testo parla infatti di impresa dell'associante, e
nessuno può negare che all'interno dell'impresa (intesa nella sua
accezione commerciale come attività autonomamente organizzata ecc.)
siano presenti più attività. Insomma la domanda che giro ai miei
lettori è se il limite di tre associati rilevi con riferimento alla
singola impresa o alle attività attraverso cui essa si manifesta.
Effettiva
partecipazione agli utili
Il
comma 30 dell'articolo 1 della riforma Fornero può essere
rielaborato come segue. I rapporti
di associazione in partecipazione con apporto di lavoro instaurati o
attuati senza che vi sia stata un'effettiva partecipazione
dell'associato agli utili dell'impresa o dell'affare, ovvero senza
consegna del rendiconto previsto dalla legge [n.d.a.], si presumono,
salva prova contraria, rapporti di lavoro subordinato a tempo
indeterminato. La predetta presunzione si applica, altresì, qualora
l'apporto di lavoro non presenti i requisiti introdotti dal comma 26
del presente articolo.
Il
rendiconto, la cui assenza caratterizza l'ipotesi sanzionatoria, è
quello indicato nell'articolo 2552 c.c. rubricato Diritti
dell'associante e dell'associato. La gestione dell'impresa o
dell'affare spetta all'associante. Il contratto
può determinare quale controllo possa esercitare l'associato
sull'impresa o sullo svolgimento dell'affare per cui l'associazione
è stata contratta. In ogni caso l'associato ha diritto al
rendiconto dell'affare compiuto o a quello annuale della gestione se
questa si protrae per più di un anno. Il rendiconto è
una sorta di bilancio d'esercizio attraverso cui il lavoratore può
informarsi circa i risultati d'impresa e stabilire inequivocabilmente
quale sia la fetta di utile di sua spettanza.
Il
comma 26 invece si occupa del mondo delle partite iva e per espresso
richiamo anche della questione dell'associazione in partecipazione
stabilendo che tale rapporto si presume di lavoro subordinato a tempo
indeterminato anche quando l'attività svolta dal lavoratore non
sia connotata da competenze teoriche di grado elevato
acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da
capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze
maturate nell'esercizio concreto di
attività.
Quest'ultima mi sembra l'ennesima trovata bizzarra del legislatore
nella misura in cui a contrario si legge che il lavoro subordinato
non è connotato da competenze teoriche di grado elevato ecc. Ancora
una volta si confonde il vincolo di subordinazione con la qualità
del lavoro svolto e purtroppo si lascia intendere che il lavoratore
dipendente è un automa alla mercé del suo datore di lavoro. Oltre a
questo spunto di riflessione di tipo sociale, occorre sottolineare
come in questo modo si pregiudica la libertà contrattuale delle
parti con sofismi completamente assenti nelle parole del legislatore
originario, cioè quello del codice civile.
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